Massacrato da Marie Dominique Lelievre, con la biografia Mauvais Garcon (ragazzaccio), dove si parla di sesso, droga, cliniche psichiatriche e carattere impossibile. Si racconta di una mania di onnipotenza, di ricerca spasmodica di successo, di estrema solitudine e di una discesa agli inferi all’età di 50 anni. Spogliato in maniera schietta ma con estremo rispetto da Pierre Bergè, socio in affari e compagno di YSL per 50 anni in Lettere a Yves, dove si leggePerso umanamente, ma mai nel suo genio. Di stilisti come lui, che hanno avuto un’influenza così forte sulla società, c’è stata solo Chanel. E non ce ne saranno altri.
Oggi 1 Giugno 2011, ricorre il terzo anno di morte e mi chiedo se è giusto peccare di voyerismo, andando a scavare nel lato torbido della persona, cercando le motivazioni che lo hanno spinto a percorrere la strada che ha fatto, giusta o sbagliata che sia, quando c’è tanto di bello in quello che ha fatto e che ha lasciato Yves Saint Laurent. Guardiamo all’artista, al genio, ai 5.000 capi di archivio storico, che nessuno dei grandi possiede, una capacità unica di reinventare alcuni concetti, come l’abito maschile per la donna, uno dei cavalli di battaglia YSL. Ha rotto gli schemi della convenzione, ha rivoluzionato lo stile femminile, gridando al mondo che la donna deve sentirsi libera di indossare i pantaloni.
Suzy Menkes, una delle inviate di moda più famose al mondo ed Editor dell’International Herald Tribune racconta che a Nam Kempner, protagonista dell’Alta Società newyorkese, le fu negato l’ingresso in un locale di grido in Madison Avenue, solo perchè indossava uno dei primi tailleur pantalone YSL e lei si liberò dell’oggetto dello scandalo ed entrò vestita con la sola giacca. Libertà, rivoluzione, innovazione, creatività, angelo e demone, questo è stato YSL.
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